Cristiani di Occidente e di Oriente

di Claudia D. F. – Tutti abbiamo negli occhi l’immagine dell’icona di Cristo macchiata del sangue dei nostri fratelli copti ad Alessandria d’Egitto al passaggio del nuovo anno: un attentato vile e crudele perché organizzato proprio per colpire, in un momento di festa collettivo, un gran numero di innocentissime e pacifiche persone…

di Claudia D. F.Tutti abbiamo negli occhi l’immagine dell’icona di Cristo macchiata del sangue dei nostri fratelli copti ad Alessandria d’Egitto al passaggio del nuovo anno: un attentato vile e crudele perché organizzato proprio per colpire, in un momento di festa collettivo, un gran numero di innocentissime e pacifiche persone…

E, probabilmente, in molti ci interroghiamo sul cristianesimo orientale e pensiamo con dolore che proprio laddove la nostra fede è nata e si è affermata, lì le comunità cristiane si stanno davvero assottigliando, sino a perdere senso, se non a sparire addirittura: per i cattolici, ancora 26% in Libano, 3,7% nella penisola Arabica, ma 1.5% in Siria, 1,1% in Iraq, 0,9% in Israele e Giordania, 0,7% in Palestina, 0,3% in Egitto, 0,02 in Turchia, 0,003% in Iran (Avvenire, 10 ottobre 2010, p. 7).

Eppure, abbiamo tanto sperato in una possibile ripresa, abbiamo guardato al sinodo di metà ottobre a Roma come ad un momento di possibile rinascita, un punto fermo da cui ripartire, per loro, con coraggio, caparbietà, e molta fede…

Ci dobbiamo veramente pensare di più: dobbiamo trovare nessi concreti, reti di amicizia e di solidarietà fra noi, occidentali, e loro, orientali o meglio medio orientali, perché farà bene ad entrambi di sicuro… Lo dicevano, del resto, le voci provenienti dal sinodo stesso rivendicando innanzitutto un ruolo “insostituibile” alla minoranza cristiana; anzi, proprio su questo il padre gesuita Samir Khalil Samir (cristiano arabo libanese e islamologo) con forza sottolineava che si tratta semmai di “minoranze di prima classe” per la ricchezza culturale e la capacità di mediazione che queste comunità hanno sempre avuto, anche nei confronti del mondo arabo: per esempio, traducendo dal siriaco in arabo il sapere classico ellenistico-romano, e dunque rimettendolo in tal modo in circolo…

Di più: il siriano Joseph Yacoub, uno dei massimi studiosi in Francia (Università Cattolica di Lione) dei diritti delle minoranze, sottolineava la giusta scelta del versetto di Atti che ha fatto da guida al sinodo alludendo alla “moltitudine di coloro che erano diventati credenti”: ma quale moltitudine, si dirà, se abbiamo appena visto come i cristiani laggiù siano sempre meno? E continuava: “il Medio Oriente è plurale…e in questo contesto è importante che anche la Chiesa abbia un volto plurale. Sono sette le Chiese che partecipano a questo sinodo, e ciascuna ha la sua liturgia, la sua teologia, la sua organizzazione”: e quanto bene fa a noi tutto ciò! Nell’incontro romano si parlava non solo francese, italiano, inglese, ma anche arabo –anch’essa lingua ‘cristiana’ si scriveva con orgoglio!- , armeno e neo siriaco… e proprio Antonios Neguib, il patriarca dei copti di Alessandria, aveva avuto parole di speranza non solo per la ricchezza di questa molteplicità, ma anche per la tensione quotidiana del confronto-dialogo con il mondo islamico, che chiede “impegno per i diritti e la democrazia”: e per tutti (ivi, p. 7).

Davvero tutto ciò ci interpella molto fortemente: ci interpella e ci sfida… Vorrei provare a dire qualche perché…pensarci e magari discuterne…

La prima riflessione: quanto poco sappiamo, in realtà, di loro, come delle altre numerose comunità cristiane e cattoliche che nel mondo sono perseguitate per motivi di fede… Quindi davvero dovremmo innanzitutto cercare di ‘sapere’, informarci in modo più attento e critico, scegliendo le fonti di informazione, con la consapevolezza che questa è fondamentale ma non è mai neutra…

La seconda: scuoterci dalla nostra comoda condizione di ‘maggioranza’ (parlo soprattutto per l’Italia) o comunque di fedeli che hanno ancora un patrimonio del ‘passato’ importante su cui contare e molto vicino nel tempo. Se il cristianesimo ha vinto, è perché ha avuto santi e martiri… Certo, a noi, per ora almeno, nessuno chiede di passare attraverso delle persecuzioni e di rischiare la vita… ma un po’ più lontano sì in questo ‘villaggio globale’, e sempre di più: pensiamo a tante zone dell’Africa o dell’Asia dove molti fratelli rischiano tutti i giorni per la loro coerenza, oppure, come accadeva alle origini, comunque si giocano carriera, benessere materiale e così via… Non ci dice nulla, tutto ciò?Non dovremmo confrontarci con la loro situazione e riflettere maggiormente sulla tepidezza e incoerenza di molte delle nostre scelte, e dunque, forse, anche della nostra fede?

La terza: i cristiani del Medio Oriente ci dicono così chiaramente che occorre non avere paura e non arretrare davanti alla pluralità sociale, culturale e religiosa…perché se le differenze sono sempre faticose e capaci però di produrre ricchezza e vita… non dovremmo interrogarci allora sulle nostre ‘paure’, qui da noi, davanti a chi viene da lontano, a chi è portatore di uno stile altro e che sempre di più cerchiamo di allontanare, neutralizzare, negare di fatto?

Da ultimo: ma è la sottolineatura forse più forte e utile… come anche papa Benedetto detto in questi giorni, questi fratelli devono ‘restare’ e, nonostante le persecuzioni e le violenze, devono continuare nello stile che Gesù ha proposto, che è quello della pace, del confronto, del lavoro quotidiano di chi agisce come “costruttore di ponti e esperto di dialogo”…

Ma se questo è chiesto a chi vive la discriminazione e rischia di continuo, cosa pensiamo di dover fare noi, cristiani di Occidente che rischiamo invece continuamente di ‘aggiustare’ e‘svendere’ la nostra fede e di abdicare proprio all’insostituibile compito di essere lievito, sale, luce, cioè di essere appunto la ‘coscienza critica’ del nostro tempo?

CRISTIANI DI OCCIDENTE E DI ORIENTE

Tutti abbiamo negli occhi l’immagine dell’icona di Cristo macchiata del sangue dei nostri fratelli copti ad Alessandria d’Egitto al passaggio del nuovo anno: un attentato vile e crudele perché organizzato proprio per colpire, in un momento di festa collettivo, un gran numero di innocentissime e pacifiche persone…

E, probabilmente, in molti ci interroghiamo sul cristianesimo orientale e pensiamo con dolore che proprio laddove la nostra fede è nata e si è affermata, lì le comunità cristiane si stanno davvero assottigliando, sino a perdere senso, se non a sparire addirittura: per i cattolici, ancora 26% in Libano, 3,7% nella penisola Arabica, ma 1.5% in Siria, 1,1% in Iraq, 0,9% in Israele e Giordania, 0,7% in Palestina, 0,3% in Egitto, 0,02 in Turchia, 0,003% in Iran (Avvenire, 10 ottobre 2010, p. 7).

Eppure, abbiamo tanto sperato in una possibile ripresa, abbiamo guardato al sinodo di metà ottobre a Roma come ad un momento di possibile rinascita, un punto fermo da cui ripartire, per loro, con coraggio, caparbietà, e molta fede…

Ci dobbiamo veramente pensare di più: dobbiamo trovare nessi concreti, reti di amicizia e di solidarietà fra noi, occidentali, e loro, orientali o meglio medio orientali, perché farà bene ad entrambi di sicuro… Lo dicevano, del resto, le voci provenienti dal sinodo stesso rivendicando innanzitutto un ruolo “insostituibile” alla minoranza cristiana; anzi, proprio su questo il padre gesuita Samir Khalil Samir (cristiano arabo libanese e islamologo) con forza sottolineava che si tratta semmai di “minoranze di prima classe” per la ricchezza culturale e la capacità di mediazione che queste comunità hanno sempre avuto, anche nei confronti del mondo arabo: per esempio, traducendo dal siriaco in arabo il sapere classico ellenistico-romano, e dunque rimettendolo in tal modo in circolo…

Di più: il siriano Joseph Yacoub, uno dei massimi studiosi in Francia (Università Cattolica di Lione) dei diritti delle minoranze, sottolineava la giusta scelta del versetto di Atti che ha fatto da guida al sinodo alludendo alla “moltitudine di coloro che erano diventati credenti”: ma quale moltitudine, si dirà, se abbiamo appena visto come i cristiani laggiù siano sempre meno? E continuava: “il Medio Oriente è plurale…e in questo contesto è importante che anche la Chiesa abbia un volto plurale. Sono sette le Chiese che partecipano a questo sinodo, e ciascuna ha la sua liturgia, la sua teologia, la sua organizzazione”: e quanto bene fa a noi tutto ciò! Nell’incontro romano si parlava non solo francese, italiano, inglese, ma anche arabo –anch’essa lingua ‘cristiana’ si scriveva con orgoglio!- , armeno e neo siriaco… e proprio Antonios Neguib, il patriarca dei copti di Alessandria, aveva avuto parole di speranza non solo per la ricchezza di questa molteplicità, ma anche per la tensione quotidiana del confronto-dialogo con il mondo islamico, che chiede “impegno per i diritti e la democrazia”: e per tutti (ivi, p. 7).

Davvero tutto ciò ci interpella molto fortemente: ci interpella e ci sfida… Vorrei provare a dire qualche perché…pensarci e magari discuterne…

La prima riflessione: quanto poco sappiamo, in realtà, di loro, come delle altre numerose comunità cristiane e cattoliche che nel mondo sono perseguitate per motivi di fede… Quindi davvero dovremmo innanzitutto cercare di ‘sapere’, informarci in modo più attento e critico, scegliendo le fonti di informazione, con la consapevolezza che questa è fondamentale ma non è mai neutra…

La seconda: scuoterci dalla nostra comoda condizione di ‘maggioranza’ (parlo soprattutto per l’Italia) o comunque di fedeli che hanno ancora un patrimonio del ‘passato’ importante su cui contare e molto vicino nel tempo. Se il cristianesimo ha vinto, è perché ha avuto santi e martiri… Certo, a noi, per ora almeno, nessuno chiede di passare attraverso delle persecuzioni e di rischiare la vita… ma un po’ più lontano sì in questo ‘villaggio globale’, e sempre di più: pensiamo a tante zone dell’Africa o dell’Asia dove molti fratelli rischiano tutti i giorni per la loro coerenza, oppure, come accadeva alle origini, comunque si giocano carriera, benessere materiale e così via… Non ci dice nulla, tutto ciò? Non dovremmo confrontarci con la loro situazione e riflettere maggiormente sulla tepidezza e incoerenza di molte delle nostre scelte, e dunque, forse, anche della nostra fede?

La terza: i cristiani del Medio Oriente ci dicono così chiaramente che occorre non avere paura e non arretrare davanti alla pluralità sociale, culturale e religiosa…perché se le differenze sono sempre faticose e capaci però di produrre ricchezza e vita… non dovremmo interrogarci allora sulle nostre ‘paure’, qui da noi, davanti a chi viene da lontano, a chi è portatore di uno stile altro e che sempre di più cerchiamo di allontanare, neutralizzare, negare di fatto?

Da ultimo: ma è la sottolineatura forse più forte e utile… come anche papa Benedetto detto in questi giorni, questi fratelli devono ‘restare’ e, nonostante le persecuzioni e le violenze, devono continuare nello stile che Gesù ha proposto, che è quello della pace, del confronto, del lavoro quotidiano di chi agisce come “costruttore di ponti e esperto di dialogo”…

Ma se questo è chiesto a chi vive la discriminazione e rischia di continuo, cosa pensiamo di dover fare noi, cristiani di Occidente che rischiamo invece continuamente di ‘aggiustare’ e‘svendere’ la nostra fede e di abdicare proprio all’insostituibile compito di essere lievito, sale, luce, cioè di essere appunto la ‘coscienza critica’ del nostro tempo?

Claudia D. F.