E’ cattolico, ma e’ una brava persona

di Peregrinus – Quante volte ho sentito questa frase, o altre simili, esprimenti il medesimo concetto, tutto riassunto in quella parolina avversativa-limitativa: ‘ma’. È una frase che dà a pensare, anche in tempi di persecuzioni ai cristiani nel mondo. Perché, con un messaggio straordinario da tramandare e testimoniare, con una miriade di iniziative generose in tutto il mondo, con esempi di autentica santità vissuta per gli altri fino al martirio, i cristiani sono spesso antipatici? Perché ci sono situazioni in cui vengono discriminati o addirittura perseguitati?

di PeregrinusQuante volte ho sentito questa frase, o altre simili, esprimenti il medesimo concetto, tutto riassunto in quella parolina avversativa-limitativa: ‘ma’. È una frase che dà a pensare, anche in tempi di persecuzioni ai cristiani nel mondo (58 persone uccise il 31 ottobre scorso nella cattedrale cattolica di Baghdad; 21 nella chiesa copta di Alessandria la notte di Capodanno, per ricordare soltanto le ultime stragi). Perché, con un messaggio straordinario da tramandare e testimoniare, con una miriade di iniziative generose in tutto il mondo, con esempi di autentica santità vissuta per gli altri fino al martirio, i cristiani sono spesso antipatici? Perché ci sono situazioni in cui vengono discriminati o addirittura perseguitati?

Ovviamente le motivazioni sono diverse a seconda delle circostanze e non si possono raccogliere sotto una sola etichetta. Una cosa, a esempio, sono gli attentati e le violenze nei paesi ex coloniali, dove il cristianesimo era spesso vissuto come il sostegno ideologico dei colonizzatori, e quindi sommariamente ma intrinsecamente connesso con la violenza dell’Occidente; altra cosa il  martirio subito dai cattolici impegnati nella difesa degli oppressi e dei diseredati, dell’immenso e dimenticato popolo delle Beatitudini in varie parti del mondo, a cominciare dall’America Latina; altra cosa ancora le lotte tra opposti fondamentalismi: cattolici (e ancor più protestanti) da una parte, islamisti o indù dall’altra; altra cosa infine il diffuso sospetto o l’insofferenza che  circondano spesso i cattolici in Europa e anche in Italia, dove è insediata la Corte pontificia. Mi sembra sia importante distinguere, e non solo perché diversi sono gli esiti, anche se poi nel profondo il retaggio storico è il medesimo: la frequente collusione tra la Chiesa e i governi meno democratici o più oppressivi e il tradizionale moderatismo del ceto medio cattolico, spesso confuso con la saggia moderazione (secondo l’arguto Martinazzoli la moderazione sta al moderatismo come la castità all’impotenza). E ancor più importante credo sia evitare il riflesso difensivo, vittimistico e autocommiserante: noi siamo i perseguitati, gli altri sono i violenti o i fondamentalisti o i nichilisti o i relativisti. Tempo fa gli illuministi, i positivisti, i materialisti…

Ovvio che bisogna reclamare e difendere la libertà di religione, di culto e di espressione, che però vale per tutti, anche per i musulmani in  Italia, a esempio, e auspicabilmente senza invocare una tignosa reciprocità, con la fiducia che qualcuno deve pur cominciare, e ricordando che fino a due secoli fa non è che dalle nostre parti ci fosse una generosa tolleranza verso i non cattolici. E non penso che con la dottrina esclusivista (extra ecclesia nulla salus, definito dal grande storico e teologo del primo Novecento Ernst Troeltsch l’“orribile motto” e oggi finalmente messo in sordina) si vada molto in là, specie in tempi in cui il confronto con le altre grandi religioni non è più remoto e favolistico ma quotidiano, porta a porta si può dire. Tuttavia non mi sembra che, salvo il benemerito card. Tettamanzi e  altre poche eccezioni, ci siano state chiare prese di posizione cattoliche per sostenere il diritto alla moschea per i fedeli musulmani delle nostre città: comunque non con la stessa passione con cui ci si batte contro il testamento biologico, che pure, a lume di carta costituzionale e di buon senso democratico, dovrebbe essere un altro diritto riconosciuto… E quando qualche parroco di buona volontà ha cercato di aprire i locali della parrocchia al culto dei musulmani ha dovuto rientrare subito nei ranghi.

Ma dai grandi problemi planetari soffermandoci ancora nel nostro orticello domandiamoci con tutta l’onestà intellettuale possibile perché è così frequente quella frasetta con quel “ma”: «È cattolico, ma è una brava persona». Come a dire: sì, purtroppo è cattolico, però, nonostante questo macroscopico difetto che dovrebbe renderlo poco affidabile, è tuttavia uno con cui si può stare, si può parlare, si possono fare cose. Temo che questa diffidenza corretta in extremis non sia frutto dell’evangelico essere nel mondo ma non del mondo: anzi, esattamente al contrario, sia conseguenza di un essere troppo del mondo. Si è del mondo quando, in cambio simoniaco di qualche beneficio economico o politico, si sbava come boxer incontrando a cena o in udienza particolare un Presidente del consiglio che, secondo il Piccolo Fratello Arturo Paoli, è “una figura indegna, nella dimensione privata come in quella pubblica.” Si è del mondo quando la dottrina, tutta umana e “teologica”, prevale sulla testimonianza e sulla sequela di un Assoluto che è sempre precedente a ogni nostra costruzione. Si è del mondo quando si difende un’identità istituzionale come un possesso dato e riconoscibile, con chiese e organizzazioni, anziché ascoltare in Gesù di Nazaret il racconto di Dio. Mi rendo conto che la storia della Chiesa vive nella dialettica tra istituzione e comunità, che la prima senza la seconda si ossifica e che la seconda senza la prima rischia la dispersione, l’evaporazione sentimentale o il fanatismo. Ma da troppi secoli, a parte l’ora d’aria del Concilio Vaticano II (le finestre furono subito chiuse già con Paolo VI), la chiesa visibile  ha poco da dire agli uomini, anzi, è avvertita come ostile, contraria a ogni esigenza di emancipazione e di libertà, pronta ad allearsi col diavolo pur di mantenere o addirittura incrementare privilegi mondanissimi e disposta a riconoscere controvoglia i diritti quando questi sono ormai diventati luogo comune. Là dove c’è bisogno di senso impone norme. Così ormai rischia di dare risposte per le quali non c’è più nessuna domanda. Ma il bisogno, magari non riconosciuto e inespresso, della Buona Novella resta nell’umanità sofferente. Forse si raccoglie tutto in quel “ma”.

Un pensiero riguardo “E’ cattolico, ma e’ una brava persona”

  1. Non so perché, ma questo articolo non mi convince.
    È vero, quel “ma”, soprattutto in Italia, è retaggio della connivenza del cattolicesimo con il malaffare, la mafia, un certo tipo di conservatorismo politico e sociale, che spesso è divenuta vera e propria complicità. Così come è brutta l’immagine del boxer, ma anche io provo un certo fastidio nel vedere certi brindisi tra i soliti cardinali di curia e il Presidente del consiglio. Tuttavia non dimentichiamo che se questo succede in Italia, dove il cattolicesimo assume questo carattere a motivo soprattutto di secolari privilegi, in gran parte del mondo la questione è ben più profonda, e la “cattolicofobia” è più spesso un retaggio della Riforma (dove è vista male qualunque autorità in materia di fede, oltre alla Bibbia) e nel resto del mondo, proprio per quell’annuncio scandaloso del Cristo – e della sua ecclesia.
    Ma, anche tornando alla situazione italiana e all’istituzione Chiesa, non riesco a condividere i toni di questo articolo che forse manca di amore verso la chiesa stessa. Questa chiesa (e mi ci metto dentro anche io) che vive la tensione tra quella “dottrina certa ed immutabile” e “il modo con il quale esse sono annunziate” (per usare le parole di Giovanni XXIII, che il Concilio lo aprì nello stesso spirito di chi lo chiuse), che è realistica nel sapersi “sporcare le mani” per il bene del suo gregge, che con tutti i suoi difetti rimane sempre quella chiesa di Cristo oltre al quale “in nessun altro c’è salvezza” (At 4,12)

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