Dopo Pasqua

Quest’anno, per il corso magistrale di Storia dell’Età del Rinascimento ho scelto un argomento molto singolare: gli intellettuali italiani del Cinquecento sospesi fra la cultura umanistica e la diffusione delle idee protestanti. La dicitura “Storia dell’Età del Rinascimento” consente, in effetti, un’interpretazione assai ampia nella quale può legittimamente stare di tutto. Di Claudia…

Quest’anno, per il corso magistrale di Storia dell’Età del Rinascimento ho scelto un argomento molto singolare: gli intellettuali italiani del Cinquecento sospesi fra la cultura umanistica e la diffusione delle idee protestanti. La dicitura “Storia dell’Età del Rinascimento” consente, in effetti, un’interpretazione assai ampia nella quale può legittimamente stare di tutto. E personalmente l’ho sempre declinata un po’ così, a cavallo fra la storia della cultura e la storia religiosa, anche perché questi due aspetti sono in quell’epoca connessi in modo inestricabile.

Si tratta di figure di grande interesse anche per la nostra contemporaneità: una élite intellettuale, uomini dotati di una cultura classica latina e greca di elevato livello, molto spesso ecclesiastici attentissimi ai guai della Chiesa del tempo, solleciti alla necessità di riformarla con urgenza e, per ciò stesso, molto sensibili alle ‘proposte’ che in materia stavano arrivando dal mondo riformato europeo. Lettori di Lutero, Melantone, Zwingli, Butzer, nel momento in cui la Chiesa di Roma decise – in attesa di un Concilio che non prendeva mai forma – di cominciare a porre mano agli aspetti dottrinali della questione con la riorganizzazione  – o meglio rifondazione – della Inquisizione medievale, molti di essi si misero in salvo lasciando la Penisola italiana e andando ad ingrossare il numero di quelli che vennero chiamati esuli Religionis causa.
La maggior parte di loro, come si è detto, era costituita da uomini di chiesa: religiosi ma anche preti, vescovi – come Pietro Paolo Vergerio -, superiori generali di ordini religiosi – come Bernardino Ochino per i Cappuccini: e l’abbandono dell’abito religioso, del proprio ordine, il ‘passare al nemico’, sposandosi e aderendo a nuove Chiese alla ricerca di un ideale ben difficile da trovare, fu ovviamente per i contemporanei cattolici motivo di scandalo, anzi di un vero e proprio shock…

Ma erano anche, come si è detto, uomini dalla grande cultura umanistica, lettori, molto prima che degli scritti di Martin Lutero, di Valla, Bruni e Bracciolini, degli umanisti italiani del 400, di Erasmo e More… e al tesoro della cultura classica, a questa formazione di fatto ‘laica’, dovevano una grandissima fiducia nell’uomo, nelle sue capacità di agire, di discernere il bene dal male, di operare positivamente nel mondo, di plasmarlo sino a ‘rinnovarlo’… la società come pure la Chiesa… Furono, dunque, a fianco dei Riformati nella loro ‘protesta’ contro Roma: ma si trovarono ben presto a disagio all’interno di Chiese nuove sì nella teologia e anche nella struttura, ma pur sempre istituzioni che presto misero a punto  censure, diverse ma sempre pesantissime, e nelle quali la ‘libertà del cristiano’ proclamata all’inizio contro Roma venne poi di fatto nuovamente negata. Furono quindi esuli per il mondo cattolico, ma incapaci sovente di integrarsi pienamente in quello protestante: eretici, in una parola, per tutti… a disagio e perseguitati ovunque…

Una categoria, quella della “eresia” e della sua grande ‘dignità’ – anzi del suo fecondissimo ‘senso’ – inventata da un grande storico del 900 – Delio Cantimori, maestro si può dire di tutti noi studiosi italiani del Cinquecento religioso – per spiegare le motivazioni, almeno intellettuali, che avevano impedito alla Riforma di attecchire in Italia: ‘colpa’, diciamo così, della nostra cultura classica, che aveva fatto da ‘antidoto’ alla predestinazione protestante, ad una visione negativa dell’uomo, un peccatore che, privo della copertura del manto della Grazia, può solo reiterare all’infinito la sua colpa e andare verso una condanna senza speranza… Una tesi che è stata soggetta a ‘revisioni’, non sempre però del tutto convincenti.

Riproporre ai miei studenti magistrali tutto ciò è stato bellissimo. Sono stati affascinati dalla straordinaria vicenda di vite interamente dedicate alla ricerca di Dio, anche a costo di lasciare tutto: famiglia di origine, ordini religiosi, beni, affetti, potere, carriere ben incamminate. Rileggere insieme le loro riflessioni – così straordinariamente attuali e così credibili perché frutto di sofferenza personale – sul montare dell’intolleranza nell’Europa del tempo, sulla violenza contro chi non la pensa come te, violenza prima verbale ma ben presto fisica nei massacri e nelle guerre in cui ci si truciderà per ‘difendere’ ognuno la propria visione di Dio, ha fatto credo bene a tutti. La lucidità delle ragioni con le quali nei loro scritti si difendeva il rispetto dovuto a ogni creatura umana semplicemente perché “fatta a immagine e somiglianza di Dio”; infine, il contributo – importantissimo – dato all’elaborazione del concetto di ‘tolleranza’ e dunque di libertà di coscienza ci ha fatto riflettere su valori messi in forse anche oggi: quando parliamo della dimensione violenta e integralista dell’Islam del presente dovremmo ricordarci che la nostra maggiore apertura – faticosa e mai scontata – è  frutto dell’esperienza di orrori, violenze, lacrime e sangue copioso…

Per me, è stato come tornare alle ‘origini’ della mia personale ricerca di senso, culturale non meno che religioso: alle motivazioni della scelta di restare in Università e di continuare nella ricerca e, insieme, all’inizio di un percorso adulto di riscoperta della fede. Il lavoro di scavo di questi uomini sui testi sacri mi ha spinta a prenderli in mano forse capendoli veramente per la prima volta: e del loro messaggio, semplice ma così vivo, vissuto e affascinante mi sono davvero ‘innamorata’…  Niente ‘chiesa’ come istituzione, niente teologia ma una sequela di Cristo autentica quanto sobria, tutta basata sul valore etico della coerenza personale, coerenza senza sconti, forte e sublime insieme, tanto da rendere ‘simili’ a Cristo…

Infatti, una delle caratteristiche di questi eretici era mirare a una fede molto semplificata e anche specialmente umana… Erano, come si diceva allora, degli antitrinitari, ossia negavano la consistenza divina della seconda Persona della Trinità… La negavano perché la ritenevano priva di una seria base scritturale ma anche perché frutto di interpolazioni filosofiche e della mediazione scolastica di Tommaso d’Aquino, che nessuna vera attinenza pensavano avesse con la ‘buona novella’. Del resto, l’idea che un Dio – Creatore e Onnipotente – potesse davvero nascere – sia pure in un modo in origine straordinario – nel grembo di una ragazzina di nessun conto, in uno sconosciutissimo villaggio di un paese poverissimo e in un punto qualunque della storia umana, e che poi vivesse nascostamente quasi tutta la sua vita, soggetto ai suoi genitori, facendo probabilmente il falegname e senza lasciare di sé traccia alcuna per circa trent’anni, per finire poi in croce come uno schiavo, è una storia così incredibile e scandalosa da aver immediatamente suscitato sin dai primissimi secoli riserve sostanziali presto bollate come ‘eresie’: appunto.  Avrà fatto ‘finta’ Gesù di essere inchiodato alla croce? Una cosa simile agli antichi Dei che ogni tanto ‘prendevano a prestito’ le sembianze di qualcuno?

In realtà, l’antitrinitarismo cinquecentesco mostra sfumature diverse. E negare la divinità di Cristo non significava affatto sminuirne l’esempio, che rimane un esempio umano sì, ma così sublime da diventare ‘divino’. Cristo è insomma un uomo così speciale da essere davvero il Figlio prediletto. Aveva detto Matteo: “siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt, 5, 48). Una assurdità? No, come dimostra Gesù il Nazareno, aprendo quindi per tutti quelli che sono disposti a mettersi alla sua sequela, la possibilità di divenire similmente  ‘divini’.  Si tratta, in altre parole di un’applicazione ‘radicale’ dell’ottimismo umanistico: la ‘radice’ divina della creazione -l’uomo plasmato a somiglianza di Dio stesso- consente la salvezza a tutti quelli che, indipendentemente dal tempo e dal luogo in cui sono vissuti, hanno ascoltato la voce interiore che li ha guidati al ‘bene’… “Santo Socrate, prega per noi” diceva Erasmo: ed era una bestemmia che gli costò la condanna all’Indice in campo cattolico e la damnatio memoriae in quello protestante.  A venticinque anni, tutto ciò mi aveva affascinata e anche aiutata in concreto a rimettermi in cammino alla ricerca di Dio.

Moltissimi anni dopo, non ho potuto non valutare la ‘distanza’ non solo temporale da allora, anche grazie a quel Peregrinus che è capace di farci riflettere in modo sempre utile. Sì, è vero, nel cristianesimo esiste, di base, una prospettiva ‘umana’, come sostenevano credo con ragione i miei ‘eretici’ -ma anche mio padre e molti tra i miei amici e colleghi-, nel senso che l’imprinting divino originario, il soffio che ha ‘animato’ l’uomo secondo il racconto di Genesi, è dato a tutte le creature di ogni tempo e luogo. Sicché, possiamo dire che, come sosteneva Karl Rahner, ogni uomo sia un “cristiano anonimo”? So molto bene che questa etichetta – la stessa che consente per esempio al nostro attuale vescovo di asserire che nessuno è e può essere ‘estraneo’ alla cura della Chiesa – irrita moltissimo gli amici che ritengono sia loro diritto proclamarsi del tutto esterni ed eccentrici rispetto a questo abbraccio…

Tuttavia, si tratta di un orizzonte che, se interpretato non in modo arrogante, è in realtà acuto e corretto: lascia libertà, interpella la responsabilità personale, esalta i migliori valori umani… Solo umani? Ecco, qui non sono così sicura… Amare il nemico, porgere la guancia, percorrere volontariamente un tratto di strada con chi pensa a te in termini negativi, liberarsi del mantello che hai in più se ti viene chiesto, smussare le liti prima di arrivare al giudice è la esemplificazione concreta delle ‘beatitudini’: pace, misericordia, giustizia, eguaglianza… di cui occorre avere “fame e sete” e su cui bisogna scommettere sino a pagare un conto salatissimo, sino a dare la vita… Uno stile di vita che è quello che, in realtà, Dio in persona ‘bene-dice’ -complimentandosi con l’uomo, come ci diceva p. Francesco Rossi-; lo stesso sul quale sarà espresso il giudizio finale di Matteo 25, 31-46.

E sappiamo bene che tutto questo non è uno scherzo: infatti, dopo duemila anni di Cristianesimo a che punto siamo? E perché, però? Perché questa “piaga” che non si risana mai, questo male che si perpetua senza fine nella storia umana? Perché queste “tenebre” sempre incombenti su di noi, perché tante croci infinite che si consumano ogni giorno nella violenza, nella sopraffazione, nelle ingiustizie commesse a carico di tante vite violate e sfruttate, di tante dignità calpestate, di tante povertà e miserie di ogni genere?

Perché non ce la facciamo proprio, Signore?  “Signore, perché mi hai abbandonato” risponde Gesù dalla sua Croce… E pronuncia certo parole umane, ma dice anche il suo dramma come Dio che, nel rispetto della libertà dell’uomo e di tutte le ‘possibilità’ del Creato, sa molto bene che il Male esiste, eccome… Ne ha, del resto, sperimentato lui stesso la potenza: come seduzione nel deserto e come ultima tentazione, scendere dalla Croce… La ‘debolezza’ di Dio, allora?

“Sì mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi ad ogni battito del mio cuore cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi”: così pregava, da Auschwitz, Hetty Hillesum…

Oggi, ricordo delle Stimmate e ricorrenza della festa speciale dei nostri Padri, le letture proponevano, fra l’altro, il notissimo brano dell’incredulo Tommaso… e p. Lidio ci ha lasciato indirizzandoci verso le ‘ferite’ di Gesù e invitandoci a “nasconderci” in esse. Ha citato il suo Fondatore: queste ferite sono le fessure del Cantico del Cantici -diceva-, nelle quali all’anima è possibile, come la colomba del Cantico alla ricerca del suo Innamorato, trovare riparo, amore, gioia, completamento, salvezza, vita…  Ecco, ho pensato, se fossi stata al posto di questo Tommaso -e probabilmente lo sono- avrei forse fatto anch’io la mia professione di fede, ma certamente non avrei avuto il coraggio di mettere il mio dito, e meno che meno la mia mano, in queste ‘piaghe’…  Anno dopo anno, il Venerdì Santo, mi ripeto che meditare davvero la Passione di Cristo, Dio incarnato e morto per amore, e capirla sino in fondo è un dono speciale, una grazia particolarissima che non mi è stata donata…

Ma il senso di vuoto che mi coglie sempre a questo pensiero si colma almeno un poco all’idea che, forse, alla “frase musicale non conclusa” che dalla Croce continua a diffondersi nel mondo possa almeno aggiungersi qualche altro accordo ogni volta che un uomo o una donna, anche nella più normale quotidianità, riescono a contrastare la presenza del male vicino a loro, dando così il proprio contributo alla costruzione dei “cieli nuovi e terra nuova” che già stanno crescendo fra noi, nascostamente, ora e oggi…

Sì, nel luogo misterioso abitato dalla Trinità, noi non sappiamo bene come siano quel Padre e quello Spirito cui da millenni tentiamo di dare un volto ricorrendo ai nostri umanissimi parametri, ma di una cosa sono (quasi) sicura, anche se posso intuirne solo in modo confuso lo spessore: che il Figlio ha sembianze umane… E che porta per sempre nello splendore della Trinità i segni del suo martirio…

Claudia

Milano, 19 aprile 2012