Passeggiate

Di Peregrinus – Nella mia esperienza la natura non è solo il bel paesaggio: è una modalità della preghiera. Un luogo del rendimento di grazie. Dell’epifania. Mi sento molto più devoto in un bosco che in una chiesa, dove riesco a distrarmi persino al momento dell’elevazione. Romanticismo? Estetismo? Sentimentalismo? Non so rispondere, ma ho l’impressione di no […].

Di Peregrinus – Nella mia esperienza la natura non è solo il bel paesaggio: è una modalità della preghiera. Un luogo del rendimento di grazie. Dell’epifania. Mi sento molto più devoto in un bosco che in una chiesa, dove riesco a distrarmi persino al momento dell’elevazione. Romanticismo? Estetismo? Sentimentalismo? Non so rispondere, ma ho l’impressione di no. Giorni fa ero su una cima (facile, meno di due ore di salita), in una splendida e gelida giornata autunnale, coi  monti azzurri e lievi, aerei: luci e colori teneri e insieme nitidissimi, le montagne leggere quasi fossero fatte di vetro soffiato, come le decorazioni dell’albero di Natale, o  come riflesse su acqua di lago. E’ il mio amatissimo autunno: ogni cosa luminosa, come se l’idea si facesse visibile nelle cose e queste si organizzassero attorno alla loro idea, in una trasparenza quasi assoluta, senza distinzione tra soggetto e oggetto. E la bellezza diventa  promessa di felicità, nostalgia di una contrada in cui non siamo mai stati, se posso usare una venatura escatologica.

Da dove ero potevo vedere ghiacciai e vette, e l’intera catena del Bianco, e poi, man mano più lontani, il Grand Combin, il Cervino, il Rosa… Tutto era vivo, ma nell’estenuante, languida dolcezza della preparazione al sonno invernale, quando la terra si chiude su di sè, in attesa. Una sorta di preparazione all’Avvento.

Al ritorno mi sono fermato in un bosco, pini e larici, piante di mirtillo dal giallo all’arancione al rosso; negli occhi ancora l’argento della pietraia appena attraversata. Amo le pietraie, e non credo che i minerali siano mera materia: è vita apparentemente bloccata, in realtà solo segreta. Seduto in una radurina, silenzioso,  avevo la netta sensazione che tutto, raggi del sole al tramonto, mirtilli, insetti, terreno freddo ma  secco, rami caduti, alberi, pigne, tutto fosse al suo posto; che se appena avessi spostato anche solo un rametto o uno stelo sarebbe cambiato l’intero ordine del mondo. Era come se percepissi il cosmo, mi sentivo in sintonia con l’universo…

Amo anche gli alberi: crescono e vivono senza danneggiare nessuno, solo donando. Sono l’elemento più vitale che conosca, e mai a spese degli altri. Attecchiscono eroicamente anche sulle creste rocciose: gli basta un pugno di terra. Su certe coste erbose li vedi tutti stortati da anni di vento, o mezzo mangiati dal fulmine: però vivono e ringraziano. C’è un larice immenso, quassù; qualche sciagurato ci ha fatto un fuoco alla base, smangiandone il grande tronco. Ma lui ha retto, è ancora bello e forte, e io mi commuovo a vedere le stille di resina che gli solcano la corteccia. Gli alberi sono tutti uno diverso dall’altro, hanno una loro vita segreta; a me sembra si immobilizzino solo quando li guardi, se ti giri dall’altra parte hai la sensazione, nettissima, che a modo loro si muovano, camminino, si incontrino. Poi, appena ti rigiri, eccoli di nuovo immobili. Di molti sono amico, li saluto, ringraziamo insieme il Signore.

In Italia centrale c’è un ulivo immenso, da calcoli oggi possibili sembra risalire alla repubblica romana (non quella di Mazzini, proprio quella dell’antica Roma). Quindi ha circa 2500 anni di vita. E’ immenso, ci vogliono almeno otto uomini in cerchio per cingerne la circonferenza. Lo vado a trovare quando posso, magari all’inizio di gennaio, come auspicio e fonte di energia per l’anno nuovo, e penso spesso alla sua storia. In tutta la sua esistenza sicuramente sotto i suoi rami qualcuno  è stato concepito, qualcun altro ucciso, altri vi saranno nati, qualche vecchio, avvertita l’ora, sarà andato a lasciarsi morire, la schiena appoggiata al tronco entro cui avrà avvertito scorrere la linfa benefica.  E che rete di relazioni si deve essere intessuta intorno a lui, quanti passaggi di soldati su è giù verso Roma o in fuga disordinata! E le donne violentate, i soldati ingannati e uccisi a tradimento dai contadini, le razzie… E lui ha continuato nei millenni a dilatare le sue fronde, a proteggere, ad accogliere, a produrre olive. Ne produce ancora oggi, piccole e non più adatte a fare olio, ma ancora buone per i tordi. Ormai non lo va a trovare quasi più nessuno: però mi è capitato di incontrare qualche turista giapponese, chissà come arrivato lì dall’Estremo Oriente,  che lo  fotografa…

Per me quell’ulivo è un testimone della vita divina che percorre l’universo e lo tiene insieme e vi si specchia per farci intravedere non la sua immagine, ché quella è solo nell’uomo, ma la sua libertà e la sua bontà sì…  Nella natura si percepisce l’invincibile forza rivelativa del progetto di Dio, penso anzi che sia una forma di manifestazione della Sua forza,  da quando, prima del tempo,  liberamente decise di esistere, scegliendo di lasciare dietro di Sè, come Sua ombra, l’inerzia della non-esistenza,  quel dio prima di Dio di cui parlano alcuni filosofi, oggetto del  Suo “No” nel momento in cui, avviando il processo creativo, contemporaneamente ha cominciato a rivelarsi.  (E che siano qui l’origine e la sede del male? In quest’ombra rimasta dietro Dio? Nella Sua ombra?)

Peregrinus